martedì 23 aprile 2024

L'amore, d'improvviso - Aharon Appelfeld

I misteri della vita assumono le spoglie di malattie che lasciano interdetti anche i medici


Essenziale sia nella scrittura che nella struttura. Essenziale non nel senso di scarnificato fino all'osso, ma nel senso di "elementare": ma ha indiscutibilmente un suo stile, pertanto il tutto risulta piacevole. A un certo punto si fa molto lento, ed anche questa lentezza ha il suo lato piacevole perché si intona con i contenuti. L'Amore compare nel titolo ma con il contenuto c'entra poco o niente: questo sempre accade quando c'è l'Amore nel titolo (ad esempio, ricordo tanti anni fa le mie iniziali perplessità di fronte all'ottimo Elena, Elena amore mio di De Crescenzo; e poco tempo dopo mi ricordo benissimo di un tizio che per far "colpo" mi sfotteva vedendomi leggere Il vecchio che leggeva romanzi d'amore: ignorante perché non conosceva Sepúlveda; e ignorante due volte perché non si capisce in che modo uno possa arrivare a credere che, per attirare l'attenzione di una ragazzina quattordicenne, il metodo giusto sia di punzecchiarla e prenderla in giro. Già ho i miei dubbi che un tale metodo possa funzionare con una panterona maliziosona. Fine della digressione).

Dunque dicevo: il fatto che qui ci siano uno scrittore (anzi, aspirante scrittore) settantenne ed una trentaseienne che dovrebbe essere un qualcosa di simile alla badante, ed il fatto che i due vadano ad instaurare un rapporto speciale, è tutto un pretesto per parlar d'altro. La loro intimità sarà per lo più elegantemente sottaciuta e per lo più racchiusa nelle battute finali di ogni capitolo. Si evidenzia piuttosto una storia che parla di dolore, del male di vivere, della difficoltà di riconciliarsi con il passato - più in particolare con gli errori del passato - eppure è un racconto delicato ed elegante come una ballerina che danza sulle punte. Quel che accadrà - non proprio all'improvviso ma comunque quando lui non ci sperava più - sarà che il protagonista troverà una "strada di casa", cioè la via per riconciliarsi con i ricordi, con la sua famiglia, la sua cultura - nello specifico: una cultura arcaica, difficile ed a volte ingombrante come quella ebraica. In questo senso, l'Amore che compare nel titolo assomiglia molto molto da vicino a quello che c'è in Una storia d'amore di Guimarães Rosa: è l'amore per le proprie radici, per il proprio paese. 
Oltre al tema della nostalgia e della riconciliazione con i propri fantasmi (soprattutto i fantasmi dei genitori e dei nonni, i primi seriosi ed enigmatici some sfingi, i secondi benevoli e superiori come un Tom Bombadil - mi si passi il paragone), della continuità e dell'identificazione tra nonni-genitori-figli quasi fossero parti diverse di un'unica entità; oltre a questo si trovano tanti altri spunti interessanti: sull'attività dello scrittore descritta come un'attività faticosa, paragonata allo scavare pozzi nella roccia del passato alla ricerca di una fonte di acqua pura, ossia alla ricerca delle parole giuste. Si sottolinea l'importanza della scrittura elementare, priva di fronzoli e metafore e altre figure retoriche, vi si parla di eliminare persino gli aggettivi (e allora io, all'esame di Appelfeld, sono già bocciata!). Più  nel dettaglio, a proposito dello scrivere del dolore: il protagonista (ed evidentemente, con esso l'autore) si chiede se sia oppure no possibile scrivere della Shoah, e se sia giusto oppure no farlo, se sia cosa doverosa oppure proibita. E' uno spunto interessantissimo perché noi, oggi, tendiamo molto a dare per scontato che della Shoah più se ne parla meglio è, più si ricorda meglio è. Eppure, a furia di rappresentazioni e interpretazioni e fiction varie in cui, per carità, gli ebrei sono sempre i buoni e i nazisti (dell'Illinois) sono sempre i cattivi, a furia di calcare la mano a fin di bene, non si finisce per svilire e finanche per banalizzare e deflazionare il discorso? Questa immensa tragedia, questa inimmaginabile quantità di dolore non dovrebbe restare su un piano superiore rispetto tutti gli altri temi ed argomenti?  In un passo qui il protagonista dice: "Tutti i testi del giorno della Shoah gli sembravano artefatti, privi di senso o, peggio ancora, grotteschi: una accolta di affaristi e politici che spendevano parole trite, portavano fiaccole e glorificavano i partigiani. Se questo è il modo di parlare della Shoah, allora io non posso proprio, si diceva. E in effetti osservava il silenzio." Poi, però, lo stesso autore, per tramite della protagonista, ci ricorda quanto essenziali siano le opere di alcuni autori, in primis Primo Levi: "La guerra è un capitolo misterioso nell'anima di Irena. Da quando ha letto i libri di Leib Ruchman e di Primo Levi, capisce perché i suoi genitori non le hanno raccontato di più. [...] Strano, dice Irena a sé stessa, per vedere mio padre e mia madre in quelle loro dure prove, devo leggere Primo Levi. Un ebreo italiano mi ha svelato quel che non mi hanno saputo dire i miei genitori".  

I protagonisti sono entrambi amabili, si entra in empatia con loro e ci si può facilmente immedesimare nei loro comportamenti, nei pensieri e nei ricordi dell'uno e/o dell'altra. Particolarmente da apprezzare la costruzione della protagonista Irena: è una donna comunissima, ha sia pregi che difetti, anzi i suoi pregi si trovano proprio nascosti negli anfratti dei suoi difetti, porta con sé una sorta di lieve "magia" ma non è la classica wonder-woman come se ne trova nella stragrande maggioranza dei romanzi, un fenomeno che ormai imperversa sotto la bandiera di un femminismo un po' distorto e un po' tanto pink-washing e che francamente io non sopporto più. 
Dunque Appelfeld promosso a pieni voti. Se penso che l'ho acquistato a casaccio, solo perché attirata dalle sirene della promozione sui libri Guanda, mi dico che forse dovrei badare più spesso a certe promozioni. 

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