lunedì 30 ottobre 2023

Romanzo senza umani - Paolo di Paolo

 


Ragionando su un'altra lettura, mi ero ritrovata a dire "che bello sarebbe un libro solo di case": e così, per una bislacca associazione di idee, son finita a scegliere questo romanzo dal titolo bislacco. Dell'autore non so nulla di nulla: avevo sentito distrattamente un pezzo di intervista su Rainews24 e mi era parso di capire che vi si parlasse della Piccola Glaciazione dalle parti del XVI o XVII sec. 

A lettura ultimata si può dire che la Piccola Glaciazione compare poco o niente, è solo un pretesto per raccontare la storia del protagonista. Forse doveva soffermarsi di più sugli aspetti "storici" della cosa, perché quando parla di Storia ha delle ottime trovate: "da qui, quattro secoli fa e domattina sono parte dello stesso lunghissimo istante"
Quarantenne, accademico di una certa fama nel suo ambiente, in piena crisi esistenziale. E così si comincia con un tema classicone: lo spinoso confronto tra il sé stesso diciottenne e il sé stesso quarantenne. Per deformazione professionale, la crisi esistenziale lo porta a scavare il proprio passato, ricostruire la propria storia personale, una storia fatta di successo accademico ma di fallimenti sul piano dei rapporti personali, e da qui si scivola nel secondo tema: il senso di inadeguatezza nei rapporti con gli altri. Le pretese/l'attesa: quello che tu ti aspetti dagli altri e quello che gli altri si aspettano da te. E ancora: la discrepanza dei ricordi. Uno stesso episodio, uno stesso evento vissuto insieme da due amici o innamorati, continua a vivere nei ricordi di entrambi ma sotto forme completamente diverse. Un fenomeno che viene qui ironicamente ma giustamente definito come un "concorso di colpa". Ecco il passo: "La memoria condivisa è una truffa con concorso di colpa, ovvero di mutue e pacifiche bugie". Dopo la Dal Lago che parlava di "amare male", ora ecco Di Paolo che parla di "ricordare male": a quanto pare i fraintendimenti abbondano. In verità non so se ho amato questo protagonista: non proprio paranoico ma certamente lamentone. Salvo poi accorgermi che sono una lamentona anche io, e allora ecco perché non mi piace: davanti allo specchio nessuno si piace. 
C'è anche il tema del viaggio come fuga: mollare tutto e partire. Fuga ma anche formazione, resa dei conti, una specie di "ritorno sul luogo del delitto". 
E la malinconia: la "nostalgia del niente". Il titolo può derivare dal libro che il protagonista sta tentando di scrivere: un romanzo in cui raccontare la Piccola Glaciazione e che pertanto si ritrova ad essere una descrizione di paesaggi in cui gli esseri umani sono i grandi assenti perché rintanati per difendersi dal grande freddo. Però il titolo potrebbe avere anche un'altra interpretazione: può essere la storia della vita di questo professore, "lo spopolamento del paesaggio della mia esistenza: devo essermi distratto, è passato il tempo, mi sono guardato intorno e un mucchio di gente non c'era più. Ancora in vita, per carità, ma non più nella mia".
Già che cita spesso la Piccola Glaciazione, finisce per ribadire quel concetto che Amor Towles esprime bene in Un Gentiluomo a Mosca, e cioè che una differenza di anche solo un grado della temperatura può originare una notevole differenza nelle vite di ognuno, quindi il "meteo" non come banale argomento da conversazione alla fermata del tram, ma vero e proprio attore delle nostre vite. "Il clima ci condiziona più di quanto crediamo. Emotivamente. Culturalmente. Non è, come molti pensano, una questione limitata alle previsioni del tempo..." (a tale proposito: scrivere i propri appunti con un autentico uragano fuori dalla finestra è a dir poco snervante). 

Una piccola nota di merito nella costruzione del romanzo e nella costruzione narrativa: i capitoli sono incastrati tra loro come mattoncini del Lego. Il titoletto di un capitolo è la frase finale del capitolo precedente. Stessa frase, ma scena diversa e contesto diverso: una costruzione ben fatta. 
Il modo in cui cambia continuamente e repentinamente discorso: lì per lì può disturbare, però a suo modo, con il suo mosaico, la sua storia arriva a (ri)costruirla. 

E' un po' cerebrale ma non vuoto, non inutile, anzi a tratti necessario - nel senso che si percepisce un'urgenza, una necessità di scriverlo. Ha dei momenti amari e finanche acidi: un po' mi ha ricordato l'amarezza e la lucidità di Pecoraro in La vita in tempo di pace. In entrambi i romanzi c'è un protagonista che parla di sé e prova a tirare le somme. Questo romanzo forse non vincerà il torneo del miglior romanzo italiano degli ultimi vent'anni, ma è ben pensato e ben articolato. In verità è un libro che parla di tutto e niente, però riesce a farlo in modo garbato, discorsivo al punto giusto, senza fare il "piacione". 
Da un lato ha ragione: i malintesi nascono perché non ci si parla abbastanza, si tende a dare tutto per scontato. Ma dall'altro lato mi viene da contraddirlo: non è che non ci si parla abbastanza, è che tutti parlano, parlano tanto e nessuno ascolta. Tutt'al più, se riesci a urlare più forte di altri, a volte qualcuno ti sente. E poi con ogni probabilità sente male

Nessun commento:

Posta un commento