domenica 25 febbraio 2024

Io canto e la montagna balla - Irene Solà

 Andando in giro per la faggeta in splendida solitudine, ho preso l'abitudine di parlare con il cane, ma soprattutto cantare ad alta voce: senza troppo sforzo mi sono auto-convinta del potenziale telepatico di questa pratica, onde far arrivare a chi di dovere un messaggio che non ho modo di trasmettere con mezzi tradizionali. Mi sono detta che i faggi non sono altro che tante antenne, e la luna una portentosa parabolica.

Nel bel mezzo di questa pazzìa, mi ha sorpreso scovare il titolo di questo romanzo: non avevo mai pensato alla montagna che ballasse sentendomi cantare, ma mi ha ugualmente stupito percepire una certa comunità di idee e sentimenti e intenti. Non potevo, dunque, non buttarmi a capofitto nella lettura. E per la miseria se ho fatto bene: in questa lettura mi ci sono proprio ritrovata, in tutte le accezioni possibili dell'espressione "ritrovarsi".

Sono racconti, quasi cammei, distinti tra loro - dunque non un vero romanzo - separati eppure uniti da un filo sottile come una ragnatela. Oppure sottile come il confine che corre lungo il crinale: una linea sottilissima e invisibile, talmente robusta, però, da saper sorreggere da sola la montagna intera. E poi bisogna proprio arrivarci infondo, riguardare tutto l'oggetto da angolazioni diverse, per poi accorgersi che in fin dei conti assomiglia ad un romanzo anche più di quanto lo volesse il libro stesso.

Atmosfere e narrazione sono vagamente oniriche, ma non troppo. Anche un po' dark, ma in maniera misurata. Ci sono tanti punti di vista al femminile, ma non è un libro che vuole fare per forza il femminista. È una Spoon River dei Pirenei: così corale che più coro non si può. Sparo a raffica le voci narranti: le nuvole, Dolceta, Sió, i funghi, Agustì, un capriolo, un turista, Hilari, Palomita, la montagna, la madre di Jaume, Neus, Oriol, la cagna Lluna, Jean Claude, Cristina, Jaume, Mia. Senza spoilerare tanto, comunque tra questi nomi ci sono almeno tre fantasmi. 

Lo si può leggere tutto d'un fiato in un sol giorno, ma a ben vedere vale la pena centellinarlo per assaporarlo, come un liquorino o come una poesia, o tutt'e due insieme. Non ha la completezza de Il Duca di Melchiorre e probabilmente non ha alle spalle lo stesso quantitativo di studio e di ricerca; eppure è comunque un'opera di una certa complessità e profondità. In questo libro ci sono storie d'amore raccontate così abilmente, in solo poche parole. C'è una natura non scontata, non banalizzata, non ridotta a fiaba bensì spiegata dalle leggende, fatta più di atmosfere che di descrizioni, fatta più di poesie strambe che di romanticismo. Ci sono sì le tempeste, ma più che sturm und drang si va verso una china sturm und wahnsinn
A voler essere un poco più obiettiva dovrei dare quattro stelle e chiuderla lì; ma c'è quel fatto del ritrovarsi di cui parlavo all'inizio, quella sintonia che capita con pochi scrittori: e allora vada per cinque, e dì che nevichi fin che vuole.

Colonna sonora imperdibile imprescindibile: ovviamente, i Lupi del Crinale. Incanto.  

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